Come un corso di formazione può trasformarsi in una attività didattica piacevole e motivante
Il “Piano d’intervento per la riduzione dei divari territoriali in Istruzione – Formazione sulle competenze di base”, di durata biennale, insiste sul potenziamento delle competenze chiave degli allievi, con particolare riferimento alle competenze di base, ritenute indispensabili per assicurare a tutti gli studenti lo sviluppo di una solida formazione iniziale e per esercitare la piena cittadinanza da parte di ciascun individuo, tanto da essere ricomprese tra le Competenze Chiave europee del 2018 (competenza alfabetica funzionale, competenza multilinguistica, competenza matematica).
Il progetto prevede la realizzazione di un’attività di formazione e accompagnamento di docenti di italiano, matematica e inglese di ogni ordine e grado, volta a promuovere processi di miglioramento della pratica didattica che tengano conto delle difficoltà di apprendimento degli alunni e che siano capaci di motivarli ponendoli al centro del processo di insegnamento-apprendimento. La formazione è destinata in prima applicazione alle scuole delle Regioni Calabria, Campania, Puglia, Sardegna e Sicilia, così come evidenziate dallo studio di Invalsi “Documento tecnico relativo all’intervento di riduzione dei divari territoriali”.
Il nostro Istituto ha risposto all’invito dell’INDIRE con la partecipazione di alcuni docenti di Lettere, Matematica e Inglese. La formazione dei docenti, tuttora in corso, terminerà a metà giugno 2023.
Gli alunni di 1A CAT sono stati coinvolti in 6 ore di lezione a firma INDIRE (Istituto Nazionale Documentazione Innovazione Ricerca Educativa), che nell’ambito del “Piano d’intervento per la riduzione dei divari territoriali in Istruzione” ha inteso coinvolgere quelle scuole che avessero aderito al progetto. Il prof. Tiziano Samele, docente di italiano e storia, ha ideato una progettazione – secondo quanto il percorso INDIRE ha richiesto – dal titolo: “La comunicazione a partire da I Promessi Sposi”. Dal titolo sembrerebbe una tematica più adatta agli studenti universitari, invece la semplicità degli argomenti trattati ha permesso anche ai giovanissimi discenti coinvolti di seguire il passo. “Credo che sin da questa giovane età, ha sostenuto il prof. Samele, i ragazzi debbano imparare a vivere e a comunicare. La scuola non è soltanto dispensatrice di erudizione, ma deve insegnare anche a crescere umanamente e a sapersi comportare nella società. La comunicazione, tema centrale di questa mia progettazione, è alla base di ogni rapporto umano, da quello più semplice e amicale a quello più complesso e formale. L’entusiasmo dei ragazzi è stato interessante soprattutto perché le lezioni li hanno visti protagonisti e perché si è affrontata una problematica, quella della comunicazione appunto, che riguarda il vissuto di ognuno.” Gli alunni hanno poi appreso le regole che sottintendono il lavoro in team, confrontandosi tra loro e argomentando dubbi e perplessità. La conclusione della full immersion progettuale ha previsto la realizzazione di due Power Point (e questo ha dato spazio alla libera creatività) e a un’intervista video pensata e realizzata dagli alunni stessi della classe.
Una programmazione sperimentale di 7 ore è stata svolta anche dalla classe 3^ B AFM. La prof.ssa Rosa Tudisco, docente di italiano e storia, ha coinvolto i discenti nella lettura di un testo di narrativa per ragazzi “Il deserto può fiorire” di Cesare Peri, con l’obiettivo di promuovere la lettura e la comprensione del testo e per migliorare le dinamiche di gruppo. Si tratta, infatti, di una classe di 34 alunni, pertanto molto numerosa, all’interno della quale la strategia del lavoro di gruppo si è rivelata efficace sul piano relazionale e motivazionale.
I ragazzi, alla fine del percorso, sono stati invitati a svolgere un testo argomentativo su “Il deserto può fiorire” di Cesare Peri:“Soffermati su una frase o su un passo del testo che ti ha colpito”. Di seguito 2 elaborati esemplificativi che affrontano tematiche trasversali sulle quali i gruppi, in un dibattito guidato dalla docente, si sono confrontati.
Questo romanzo racconta la storia di un ragazzo, Luca, che mentre attraversa un periodo difficile, legato alla nuova scuola e alla separazione dei genitori, incontra un tossicodipendente, di nome Franco. Man mano che passano i giorni i due diventano molto amici. Grazie a Luca, Franco riesce a disintossicarsi e le famiglie dei due ragazzi trascorrono il Natale insieme. Proprio il giorno di Natale il padre e la mamma di Luca tornano insieme, decidendo di fare la cosa più giusta per il figlio.
Del libro che abbiamo letto mi è piaciuto il finale, dove i genitori del protagonista si riconciliano.
Luca è l’esempio perfetto per dire che i ragazzi, oggi, non vivono come vorrebbero a causa dei problemi familiari. Ad esempio, un ragazzo che non vive una bella situazione a casa, potrebbe decidere di abbandonare anche la scuola, perché i suoi progressi non verrebbero apprezzati da nessuno; e perché provare a dimostrare qualcosa quando nessuno apprezza quello che facciamo?
Questo è il classico esempio di abulia scolare, cioè quel fenomeno dove non c’è comunicazione tra ragazzo e scuola; magari il ragazzo va a scuola, ma non gli interessa alcuna materia.
D’altra parte, nel libro che abbiamo letto, Anna, l’ex insegnante di italiano di Luca, riesce ad accendere di nuovo in lui il giusto entusiasmo per affrontare il nuovo anno di ginnasio.
Anna, invece, è l’esempio di come un docente dovrebbe comportarsi con i ragazzi per sostenerli, aiutarli e non sgridarli o demotivarli. Anna, è la classica insegnante che vede la scuola come un teatro dove i ragazzi sono i protagonisti e i docenti sono coloro che li aiutano.
Un evento che può cambiare in meglio un ragazzo che soffre di abulia scolare, è la risoluzione dei problemi familiari. Per esempio, per Luca diventa tutto meno pesante, quando i genitori ritornano a vivere insieme. E questo è quello di cui molti ragazzi avrebbero bisogno per avere una certezza, cioè la famiglia.
“Credevo, come tutti gli allocchi, di essere capace di smettere a mio piacimento, invece sono cascato anch’io nel ben noto trabocchetto: il mio corpo ormai si è assuefatto alla droga, e non è più una questione di volontà, ma di necessità. Ora ne ho bisogno per sentirmi normale. Non provo più né piacere né particolare euforia: devo solo immettermi questo veleno mortale per sopravvivere… Vedi, è davvero un paradosso!”. Questa è una delle frasi che mi ha colpito molto poiché penso descriva alla perfezione lo stato fisico di una persona tossicodipendente che vorrebbe smettere, ma la sofferenza prodotta dall’assuefazione sovrasta questa volontà.
Come Franco, la maggior parte dei tossicodipendenti ha iniziato a fare uso di sostanze per scappare dai problemi, per avere la testa più leggere e senza preoccupazioni; all’inizio va tutto bene perché la sostanza fa il suo effetto e tutto diventa improvvisamente più bello, ma ad ogni assunzione la situazione si ribalta sempre di più, stando male anche fisicamente per una mancata dose, sentendo letteralmente il bisogno di farsi del male, di uccidersi lentamente, a poco a poco, solo per poter continuare a vivere. Ma come si può chiamare vita, quando l’unica cosa che riesce a far stare bene la persona è la droga? Questa cambia anche il carattere della persona, che diventa irriconoscibile agli occhi dei suoi conoscenti, allontanando tutti i suoi affetti solo perché vorrebbero salvarla dalla completa dipendenza dalle sostanze, con la speranza di ritornare una persona sana, con dei valori e dei principi in cui credere nuovamente.
Il passaggio dal “non sto bene quindi mi drogo” al “mi drogo altrimenti non sto bene” è veloce ed impercettibile e pochi riescono a capire quando è il momento di smettere e di chiedere aiuto, anche perché, alcune volte, la persona a cui chiedere aiuto non c’è.
A cura delle classi 1A CAT e 3^B AFM